L’influenza aviaria, più comunemente definita "influenza dei polli", è una malattia infettiva causata da alcuni virus influenzali che, generalmente, contagiano solo i volatili. Gli uccelli migratori sono considerati il "serbatoio naturale" dei virus dell’influenza aviaria e sono più resistenti all’infezione. Il pollame domestico, più sensibile e delicato, è anch’esso esposto a questi virus, che possono provocare due forme di malattia, distinte in base alla gravità. La prima è la forma a "bassa patogenicità", che di solito causa sintomi lievi e che può addirittura non essere notata. La seconda è invece la forma ad alta patogenicità, molto più seria della precedente, con una mortalità tra i volatili che può avvicinarsi al 100% in breve tempo. Come avviene per gli esseri umani, anche l’influenza dei volatili si divide in tre gruppi, definiti A, B e C. A loro volta, i virus dell’influenza A sono divisi in 16 sottotipi H, e 9 sottotipi N. L’attuale epidemia di influenza aviaria è causata dal virus "H5N1", considerato particolarmente aggressivo e pericoloso per gli animali. L’evoluzione dell’influenza aviaria L’influenza aviaria è stata scoperta per la prima volta in Italia - più precisamente in Piemonte - nel 1878, dallo studioso italiano Edoardo Perroncito; non avendo generato nei decenni successivi grandi epidemie naturali, l’infezione non ha mai dato luogo a studi approfonditi, ed è stata pressoché ignorata dall’industria del pollame e dalla comunità scientifica internazionale. La situazione è nettamente cambiata dal 1997, quando è stato isolato nel sud est asiatico un nuovo sottotipo di virus dell’influenza aviaria, chiamato "H5N1"; questo sottotipo si è ben presto rivelato altamente patogeno, di rapida diffusione tra gli animali e, nella quasi totalità dei casi, letale entro 48 ore dal contagio. Il nuovo virus ha colpito per la prima volta anche 18 persone, causando loro gravi problemi respiratori e, in sei casi, la morte. Tra il 2000 e il 2003 l’estesa diffusione dell’infezione ha portato l’abbattimento di 50 milioni di volatili nella sola Europa; vista la grande portata del virus soprattutto in Asia, la comunità scientifica ha iniziato a interrogarsi su come combattere l’attuale crisi influenzale e, soprattutto, su come prevenire e scongiurare i rischi di un’eventuale epidemia tra gli esseri umani. Lo stato della ricerca Gli studi condotti fino a ora hanno appurato che gli uccelli infetti eliminano il virus attraverso la saliva, le secrezioni nasali e le feci, trasmettendo la malattia tramite un contatto diretto con esse, o con le superfici e l’acqua contaminate. L’infezione non manifesta segni evidenti nel periodo di incubazione. Sulla base di queste considerazioni, i ricercatori ritengono che siano più a rischio gli allevamenti di pollame situati lungo le rotte migratorie degli uccelli selvatici, o nelle vicinanze delle zone di riposo e di riproduzione di questi ultimi. In proposito si stanno già cercando di adottare rimedi, per evitare il contatto tra i volatili di allevamento e quelli selvatici. Per prevenire e combattere la diffusione dell’influenza aviaria, uno strumento utile è sicuramente la ricerca della sicurezza nella produzione animale e nei prodotti alimentari (biosicurezza) unita, una volta identificato il virus, a un serio programma di vaccinazione dei volatili. L’influenza aviaria e l’uomo Generalmente i virus dell’influenza aviaria non infettano l’uomo. Le rare occasioni in cui delle persone a stretta vicinanza con gli animali si sono ammalate sono state causate da condizioni igienico sanitarie fortemente precarie. Negli ultimi due anni, nei Paesi asiatici coinvolti dall’epidemia, si sono contagiati 100 milioni di volatili e poco più di 100 persone; i dati sono comunque tenuti costantemente monitorati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO). La trasmissione del virus "H5N1" da animale infetto all’uomo e, di conseguenza, da uomo a uomo, può tuttavia avvenire se si verificano "riassortimenti genetici" tra l’influenza aviaria e quella umana, generando una patologia virale contagiosa. Per questo motivo è stato fortemente consigliato alla popolazione di vaccinarsi contro l’influenza stagionale e, in particolare, a chi ha più possibilità di esposizione a eventuali virus animali (es. gli allevatori). Il cibo Per quanto riguarda gli alimenti di origine avicola, non è mai stato documentato alcun caso di malattia dovuto al consumo di carne o uova o al contatto con esse. Il virus non sopravvive infatti alla cottura, e viene completamente distrutto a 70 gradi. Teoricamente il virus potrebbe essere presente sulla superficie o dentro uova deposte da animali infetti, ma bisogna dire che questi di solito non riescono a deporre uova, perché muoiono entro 2 giorni. La situazione in Italia Nel nostro Paese è attivo un sistema di sorveglianza per l’influenza aviaria, coordinato dal Dipartimento della Prevenzione e della Comunicazione, dalla Direzione Generale Sanità Veterinaria e degli Alimenti del Ministero della Salute, in collaborazione con il Centro di referenza Nazionale per l’influenza aviaria, presso l’Istituto Zooprofilattico delle Venezie. Il sistema prevede anche il controllo della sorveglianza sugli allevamenti avicoli e sulle popolazioni di uccelli selvatici presenti in Italia, per prevenire e rilevare eventuali infezioni nel territorio nazionale. A questo momento non si registrano focolai di virus aviari di tipo "H5N1" nei volatili domestici e selvatici. Pur mantenendo elevata e costante la soglia di attenzione è necessario ricordare che, le previsioni di pandemia, non sono legate direttamente all’attuale epidemia di influenza aviaria, dato che il tempo intercorrente tra una pandemia e l’altra non ha mai superato le poche decadi, e che l’ultima registrata risale al 1968.
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