意大利语精选文章阅读第15篇
3 La frizzante aria d’aprile sferzava il finestrino aperto della Citro?n ZX che correva a sud dopo avere lasciato Place Vend?me. Nel sedile del pas-seggero, Robert Langdon osservava la città passare veloce accanto a lui e cercava di chiarirsi i pensieri. Dopo avere fatto una rapida doccia ed esser-si rasato, il suo aspetto era tornato ragionevolmente presentabile, ma le preoccupazioni gli erano rimaste. La spaventosa immagine del corpo del curatore rimaneva bloccata nella sua mente. "Jacques Saunière è morto." Langdon non poteva fare a meno di provare un forte senso di perdita per la morte del curatore. Nonostante Saunière avesse fama di essere una sorta di recluso, era facile provare venerazione per lui a causa della sua grande dedizione alle arti. I suoi libri sui codici segreti celati nei quadri di Poussin e Teniers erano tra i testi adottati da Langdon per i suoi corsi. Lui aveva aspettato con ansia l’incontro di quella sera ed era rimasto deluso quando il curatore non era comparso. Di nuovo l’immagine del curatore si presentò alla sua mente. "è stato Jacques Saunière a ridursi in quel modo?" Langdon si voltò a guardare dal finestrino, costringendosi a fugare quella visione. All’esterno dell’auto, la città cominciava allora a chiudere le sue attività: i venditori ambulanti portavano via i loro carretti di amandes caramellate, i camerieri trasferivano sul marciapiede i sacchi di immondizia, una coppia di innamorati tiratardi si stringeva per riscaldarsi, mentre soffiava il vento profumato di germogli di gelsomino. La Citro?n viaggiava con autorità in mezzo al caos: la sua sirena bitonale e dissonante si apriva la strada in mezzo al traffico, come un coltello. ?Le capitaine era molto lieto, quando ha scoperto che lei era ancora a Parigi? disse il poliziotto, parlando per la prima volta da quando avevano lasciato l’hotel. ?Una coincidenza fortunata.? Langdon si sentiva tutt’altro che fortunato e la coincidenza non era una categoria di cui si fidasse molto. Avendo trascorso la vita a esplorare i col-legamenti nascosti tra i diversi emblemi e le diverse ideologie, vedeva il mondo come una rete di storie e di eventi profondamente intrecciati tra lo-ro. "I collegamenti possono essere invisibili" aveva spesso ripetuto ai suoi allievi di simbologia a Harvard "ma ci sono sempre, sepolti appena sotto la superficie." ?Suppongo? disse ?che sia stata l’Università americana di Pa-rigi a dirvi dove alloggiavo.? Il poliziotto scosse la testa. ?L’Interpol.? "L’Interpol" pensò Langdon. "Naturalmente." Si era dimenticato che la richiesta, in apparenza innocua, di tutti gli hotel europei di vedere il passa-porto quando ci si registrava per una camera non era solo una stramba formalità del Vecchio Continente, ma era un obbligo di legge. Ogni notte, in tutta l’Europa, i funzionari dell’Interpol potevano individuare con esat-tezza chi dormisse in ciascun albergo. Trovare Langdon al Ritz non dove-va avere richiesto più di cinque secondi. Mentre la Citro?n accelerava verso sud, comparve la sagoma illuminata della Torre Eiffel, che in lontananza, a destra, svettava verso il cielo scuro della notte. Nel vederla, a Langdon tornò alla mente Vittoria e la scherzosa promessa che si erano scambiati un anno prima, di incontrarsi ogni sei me-si in qualcuno dei punti più romantici del mondo. La Torre Eiffel, pensava Langdon, sarebbe potuta benissimo entrare nell’elenco ma, purtroppo, ave-va baciato per l’ultima volta Vittoria in un rumoroso aeroporto di Roma, più di un anno addietro. ?L’ha mai montata?? chiese il poliziotto. Colto di sorpresa, Langdon si augurò di avere capito male. ?Scusi?? ?è bella, vero?? soggiunse il poliziotto, indicando la Torre Eiffel. ?C’è già montato?? ?No, non sono mai salito sulla torre.? ?è il simbolo della Francia. Secondo me è perfetta.? Langdon annuì senza compromettersi. Gli studiosi di simboli spesso os-servavano come la Francia — paese famoso per il machismo, l’adulterio e i suoi capi di Stato insicuri e di bassa statura come Napoleone e Pipino il Breve — non avrebbe potuto scegliere un simbolo nazionale più adatto di quello: un fallo eretto, alto trecento metri. Quando raggiunsero l’intersezione con Rue de Rivoli, il semaforo era rosso, ma la Citro?n non rallentò. Il tenente Collet accelerò per superare l’incrocio ed entrò in un tratto alberato di Rue de Castiglione, che faceva da ingresso settentrionale ai famosi giardini delle Tuileries. Molti turisti pensavano che il nome "Jardin des Tuileries" si riferisse alle migliaia di tu-lipani che sbocciavano laggiù, ma "Tuileries" si riferiva in realtà a qualco-sa di molto meno romantico. Quel parco era un tempo un enorme scavo, una sorta di sentina malsana della città, da cui i costruttori parigini scava-vano l’argilla per fabbricare le famose tegole rosse parigine, ossia le tuiles. Quando entrarono nei giardini deserti, il tenente Collet infilò la mano sotto il cruscotto e spense l’assordante sirena. Langdon trasse un lungo so-spiro e si godette per qualche istante l’assoluto silenzio. All’esterno dell’au-to, il pallido raggio dei fari alogeni scivolava sulla ghiaia della strada albe-rata del parco e il rumore delle ruote scandiva un ritmo ipnotico. Langdon aveva sempre considerato le Tuileries terreno sacro. Erano i giardini dove Claude Monet aveva sperimentato con la forma e col colore e aveva lette-ralmente ispirato la nascita del movimento impressionista. Quella sera, pe-rò, vi regnava una strana atmosfera minacciosa. La Citro?n svoltò a sinistra e si diresse a est lungo il boulevard centrale del parco. Dopo avere girato attorno a un laghetto circolare, il poliziotto at-traversò un viale spoglio per entrare in un’ampia piazza quadrata. Langdon vedeva ora la fine delle Tuileries, contrassegnata da un gigantesco arco di pietra. L’Arc du Carrousel. Nonostante i rituali orgiastici che un tempo si tenevano all’Arc du Car-rousel, gli amanti dell’arte venerano quel luogo per un motivo del tutto di-verso. Dalla piazza in fondo alle Tuileries si possono scorgere quattro dei più importanti musei di belle arti del mondo, uno per ciascun punto cardi-nale della bussola. A destra e a sud, al di là della Senna e del Quai Voltaire, Langdon vede-va la facciata scenograficamente illuminata della vecchia stazione ferrovia-ria, oggi il rinomato Musée d’Orsay. A sinistra scorgeva invece la cima dell’ultramoderno Centre Pompidou, che ospitava il museo di Arte moder-na. Dietro di lui, a ovest, sapeva che l’antico obelisco di Ramses si alzava al di sopra degli alberi e contrassegnava la Galerie du Jeu de Paume. E davanti a lui, attraverso l’arco, Langdon poteva vedere, adesso il mo-nolitico palazzo rinascimentale che era divenuto il più famoso museo di belle arti del mondo. Il Musée du Louvre. Langdon provò un familiare senso di meraviglia mentre i suoi occhi si sforzavano inutilmente di cogliere l’intera massa dell’edificio. In fondo a una piazza di dimensioni enormi, l’imponente facciata del Louvre si sta-gliava come una cittadella nel cielo parigino. Il Louvre aveva la forma di un enorme ferro di cavallo ed era l’edificio più lungo d’Europa, più di tre Torri Eiffel messe l’una in fila all’altra. Neppure i centomila metri quadri di spazio aperto tra le ali del museo riuscivano a intaccare la maestosità del-l’immensa facciata. Una volta, Langdon aveva percorso l’intero perimetro del Louvre: una stupefacente escursione di cinque chilometri. Per poter debitamente apprezzare le 65.300 opere d’arte esposte nell’edi-ficio, si calcolava che un visitatore avrebbe impiegato cinque settimane, ma la maggior parte dei turisti sceglieva l’esperienza abbreviata che Lan-gdon chiamava il "Louvre Light": una corsa attraverso il museo per vedere le tre opere d’arte più famose, la Monna Lisa — o, come era chiamata in vari paesi europei, La Gioconda -, la Venere di Milo e la Vittoria alata. L’umorista Art Buchwald si era una volta vantato di avere visto tutt’e tre i capolavori in cinque minuti e cinquantasei secondi. Il poliziotto prese un walkie-talkie e parlò in un francese rapidissimo: ?Monsieur Langdon est arrivé. Deux minutes?. Dall’altoparlante giunse una conferma indecifrabile, una sorta di gracidio coperto dalle scariche. Il poliziotto infilò il walkie-talkie nel vano della portiera e si rivolse a Langdon. ?Incontrerà il capitaine all’entrata principale.? Ignorando le segnalazioni che vietavano alle auto l’accesso alla piazza, accelerò e lanciò la Citro?n nella zona pedonale. L’ingresso principale era adesso visibile. Si distingueva in lontananza, circondato da sette fontane triangolari da cui si alzava un getto d’acqua illuminato. La Pyramide. Il nuovo ingresso del Louvre parigino era divenuto famoso quanto il museo stesso. La controversa piramide di vetro in stile neomoderno, pro-gettata dall’architetto americano di origine cinese I.M. Pei, suscitava anco-ra l’odio dei tradizionalisti che l’accusavano di distruggere la dignità rina-scimentale dell’insieme. Goethe aveva descritto l’architettura come musica congelata; i detrattori di Pei descrivevano quella piramide come il rumore delle unghie che graffiano la lavagna. Gli ammiratori progressisti, invece, salutavano la piramide trasparente di Pei, alta ventuno metri, come un’ab- bagliante sinergia di struttura antica e di tecnologia moderna, un legame simbolico tra il vecchio e il nuovo, che contribuiva a introdurre il Louvre nel millennio appena iniziato. ?Le piace la nostra piramide?? chiese il tenente Collet. Langdon aggrottò la fronte. I francesi, a quanto pareva, amavano fare a-gli americani quel tipo di domande. Naturalmente si trattava di una do-manda a trabocchetto. Se avesse ammesso che la piramide gli piaceva, sa-rebbe stato giudicato un americano privo di gusto; se avesse detto che non gli piaceva avrebbe offeso i francesi. ?Mitterrand era un uomo di carattere? rispose Langdon, sottolineando la differenza tra l’opera e il committente. Del vecchio presidente francese che aveva commissionato la piramide si diceva che soffrisse del "complesso del faraone". Responsabile d’avere riempito Parigi di obelischi, oggetti d’arte e manufatti egizi, Fran?ois Mitterrand aveva una propensione tal-mente forte per la cultura egizia da guadagnarsi il nomignolo di "Sfinge", affibbiatogli dai suoi compatrioti. ?Come si chiama il suo capitano?? chiese Langdon per cambiare argo-mento. ?Bezu Fache? ripose Collet, mentre si avvicinavano all’ingresso princi-pale. ?Noi lo chiamiamo le Taureau.? Langdon lo guardò con sorpresa. Che ogni francese avesse un misterioso soprannome animale? ?Chiamate il vostro capitano "il Toro"?? Collet inarcò le sopracciglia. ?Il suo francese è migliore di quanto lei non ammetta, Monsieur Langdon.? "Il mio francese fa schifo" pensò Langdon "ma la mia iconografia zodia-cale è ottima." Taurus era il Toro. L’astrologia era una simbologia costante in tutto il mondo. Collet fermò l’auto e indicò un punto tra due fontane: un’ampia porta nel fianco della piramide. ?Ecco l’entrata. Buona fortuna, Monsieur.? ?Lei non viene?? ?Ho l’ordine di lasciarla qui. Ho un altro lavoro da svolgere.? Langdon trasse un sospiro e scese dall’auto. "I registi siete voi e lo spet-tacolo è vostro." Collet inserì la marcia e ripartì. Rimasto solo a guardare le luci posteriori dell’automobile che si allonta-nava. Langdon rifletté che poteva ancora ripensarci, uscire dal cortile, prendere un taxi e tornare in albergo a dormire. Ma qualcosa gli diceva che non sarebbe stata una buona idea. Mentre si muoveva verso le fontane circondate dalla nebbia, lo studioso aveva l’impressione di avere attraversato una soglia immaginaria e di esse-re finito in un altro mondo. Tornava ad affacciarsi l’impressione che aveva avuto all’inizio, di vivere in un sogno. Venti minuti prima, dormiva in al-bergo. Adesso era davanti a una piramide trasparente costruita dalla Sfinge e aspettava un poliziotto chiamato il Toro. "Sono intrappolato in un quadro di Salvador Dalí" pensò. Fece qualche passo e arrivò all’ingresso principale, un’enorme porta gi-revole. Al di là dei vetri si scorgeva il foyer, vuoto e nell’ombra. "Che faccio, busso?" Si chiese se qualcuno degli stimati egittologi di Harvard avesse mai bus-sato all’ingresso di una piramide e se si fosse aspettato una risposta. Stava per picchiare sul vetro ma, sotto di sé, vide una figura salire la scala. Era un uomo massiccio dai capelli scuri, quasi un Neandertal, con una giacca nera a doppio petto che faticava a contenere le enormi spalle. Saliva con grande sicurezza di sé; aveva le gambe corte e muscolose. In quel momen-to parlava al cellulare, ma terminò la chiamata prima di raggiungere Lan-gdon. Gli fece segno di entrare. ?Bezu Fache? si presentò quando lo studioso uscì dalla porta girevole. ?Capitano della Direzione centrale di polizia giudiziaria.? Il tono di voce era adatto al suo aspetto: un brontolio gutturale, come un’incipiente tempe-sta. Langdon gli tese la mano. ?Robert Langdon.? L’enorme palma di Fache si avvolse attorno alla sua con la forza di una pressa idraulica. ?Ho visto la foto? disse Langdon. ?Il suo agente ha detto che è stato lo stesso Jacques Saunière a...? ?Signor Langdon? lo interruppe Fache, trafiggendolo con due occhi neri come l’inchiostro. ?Ciò che ha visto nella foto è solo l’inizio di quel che ha fatto Saunière.? 第三章 当雪铁龙ZX向南急驰掠过歌剧院,穿过旺多姆广场时,清冷的四月风透过车窗向车内袭来。罗伯特·兰登正坐在客座上,试图理清思绪,却只感到城市从他身旁飞驰而过。他已匆匆地冲了沐浴,刮了胡子,这使外表看上去倒也说得过去,但他无法减轻自己的焦虑感。那令人恐惧的博物馆长尸体的样子一直锁定在他的脑海里。 雅克·索尼埃死了。 对于馆长的死,兰登禁不住有一种怅然若失的感受。尽管大家都知道索尼埃离群索居,但他对艺术的那份奉献精神却很容易使人们对他肃然起敬。他有关普桑和特尼尔斯画中隐藏密码的书籍是兰登上课时最喜欢用的课本。对今晚的会面,兰登抱有很大的期望,馆长没来他非常失望。 馆长尸体的那幅图景再次在他脑海闪过。雅克·索尼埃把自己弄成那样?兰登转身向窗外望去,使劲地把那景象从脑子中挤出去。 车外,城市街道曲曲折折地延伸。街头小贩推着车沿街叫卖桃脯,服务生正抱垃圾袋要把他们放在路边,一对深夜恋人在溢满茉莉花香的微风里拥抱在一起取暖。雪铁龙以居高临下的姿态穿过这一片混乱,那刺耳的双声调警笛像刀子一样把车流划开。 “我们局长发现你今晚还在巴黎后非常高兴。”那特工说道。这是他离开酒店后第一次开口。“真凑巧,太幸运了。” 兰登一点也不觉得幸运。他不十分相信机缘巧合这种说法。作为一个终生都有在探索孤立的象征符号或观念之间隐含的相关性的人,兰登把这个世界视为一张由历史和事件相互交织而成的深不可测的大网。他经常在哈佛的符号学课上鼓吹说,各种关联性也许看不到,但他们却一直在那儿,伏在表层下面。 “我想是巴黎美国大学告诉你们我的住处的。”兰登说。 开车人摇摇头说:“国际刑警组织”。 国际刑警组织,兰登心里想。当然。他忘了,所有欧洲酒店都要求看客人的护照。这无关痛痒的请求其实不仅仅是一个古怪的登记手续,那是法律。在任何一个晚上,在整个欧洲,国际刑警组织都能准确地定位谁睡在什么地方。弄清楚兰登住在里茨酒店恐怕只花了五秒钟时间。 雪铁龙继续加速向南穿越城区。这时被照亮的埃菲尔铁塔的轮廓开始显现出来。在车右边铁塔直插云霄。看到铁塔,兰登想起了维多利亚,想起了他一年前玩笑般的承诺。他说他们每六个月都要在全球范围内换一个浪漫的地方约会。兰登想,当时埃菲尔铁塔一定是上了他们的名单的。遗憾的是,他一年前是在罗马一个喧闹的机场和维多利亚吻别的。 “你上过她吗?”特工看着远方问。 兰登抬头看了他一眼,确信自己没听懂他的话。“对不起,你说什么?” “她很可爱,不是吗?”特工透过挡风玻璃指向埃菲尔铁塔。“你上过她吗?” 兰登的眼珠转了转。“没有,我还没爬过那铁塔。” “她是法国的象征。我认为她完美无瑕。” 兰登心不在焉地点了点头。 符号学家常说,法国是一个因那些有男子汉气概、沉溺于女色的、像拿破仑和矮子丕平那样危险的小个子领袖的出名的国家。它选择一个一千英尺高的男性生殖器作为国家的象征再合适不过了。 他们到里沃利路口时遇到了红灯,但雪铁龙并未减速。特工加大油门驰过路口,快速冲入卡斯蒂哥亚诺路有林荫的那一段。这一部分路段被用作著名的杜伊勒里花园——法国版的中央公园的北入口。许多游客都误以为杜伊勒里这个名字和这里几千珠盛开的丁香有关,因为二者发音有相似的地方。但杜伊勒里字面意思的确指的是多少有些浪漫的东西。这个公园曾经是一个被污染的大坑。巴黎承包商从这里挖粘土烧制巴黎著名的房顶红瓦——这个词的法语语音为杜伊勒里。 他们进入这空无一人的公园时,特工把手伸到仪表板下面把吵人的警笛关掉。兰登出了口气,体味着这瞬间到来的宁静。车外,泛白的车头晕光灯一晃一晃地照着前方碎砂砾停车道,轮胎发出难听的、有节奏的沙沙声,使人昏昏欲睡。 兰登一直把杜伊勒里当作一块圣地。正是在这些花园里,克劳德·莫内对形式和颜色作了实验,实际上是催生了印象派运动。然而,今晚这个地方被不祥的氛围笼罩着。 雪铁龙现在开始左拐,沿公园的中心大道向西驰去。轿车沿着一个环形池塘在奔驰,穿过了一条废弃的大道驶进远处的一块四边形场地。兰登现在可以看到杜伊勒里花园的边界,边界处有一块巨大的石拱门——小凯旋门。 尽管在小凯旋门曾举行过狂欢节,但艺术迷们是出于另一个完全不同的原因而对其景仰不已。从杜伊勒里花园尽头处的空地上可以看到全球四个最好的艺术博物馆——指南针的四个方向上各有一个。 在右车窗外边,朝南跨过塞纳河和凯伏尔泰大道,兰登可以看到灯火通明的老火车站,即现在著名的道赛美术博物馆的正面。他往左一瞥,看到了那超级现代的蓬皮杜中心的顶部。蓬皮杜中心是现代艺术博物馆所在地。在他身后西部,他看到古老的高过树顶的拉美西斯方尖碑,那是裘德·波姆国立美术馆的标志。 但朝正东,透过石拱门,兰登可以看到耸立着独石柱碑的文艺复兴时的宫殿,现在已成为举世闻名的艺术博物馆。 卢浮宫美术馆。 当兰登的眼睛徒劳地试图看完整整个大厦时,他感觉到一些似曾有过的惊奇。在极宽大的广场对面,宏伟的卢浮宫正面在巴黎的天空映衬下像个城堡一样矗立着。卢浮宫形如一个巨大的马掌,它是欧洲最长的建筑,其长度比三个平放的对接起来的埃菲尔铁塔都要长。就是在美术馆翼楼之间的百万平方英尺开放广场,在宽度上也无法和它正面的宽度相比。兰登有一次曾漫步于卢浮宫的各个角落,令人吃惊的是,竟然有三英里的路程。 尽管要想好好地欣赏馆藏的653,000件艺术品估计需要五天,大部分游客都选择一种被兰登称作“轻型卢浮宫”的不完全游的方式——急匆匆地去看宫里最有名的三样东西——蒙娜丽莎、米罗的维纳斯和胜利女神。阿特·布奇华德曾骄傲地说他曾在五分五十六秒内就看完了这三大杰作。 开车人拿出手提式步话机用法语连珠炮式地说:“先生,兰登到了。两分钟。” 步话机传回对方尖利急促的回话声,别人听不懂他在说什么。 特工收好步话机后转向兰登说:“你会在大门口见到局长。” 开车人丝毫不理会广场上禁止车辆通行的标志牌,把雪铁龙发动起来,快速驶过路边的镶边石。此时能看到卢浮宫的大门很显眼地立在远方,正门被七个长方形的水池围住,水池射出的喷泉被灯光照得通体发亮。 金字塔。 巴黎卢浮宫的这个新入口现在几乎和卢浮宫美术馆一样有名。这座由生于中国的美国建筑家贝聿铭设计的引起诸多争议的全新的现代玻璃金字塔,现在仍受到传统派的嘲讽。因为他们觉得它破坏了这个文艺复兴时期王宫的尊严。歌德曾把建筑描述为冻结了的音乐,批评贝聿铭的人把这金字塔描述为光洁黑板上的指甲划痕。然而激进的崇拜者们认为贝聿铭这七十一英尺高的透明金字塔将古老的结构和现代方法结合起来,艳丽多姿,二者相得益彰——它是一种连接新与旧的象征,它有助于将卢浮宫推进下一个千年。 相关资料 |